#10 : Di Campeggi e Campeggiatori

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Arrivando a Höfn notiamo con gioia che il circo dev’essere in città.
I dintorni di quello che sembra essere il campeggio sono infatti costellati da enormi carrozzoni che devono certamente ospitare clown e bestie esotiche.
Vi lascio immaginare il nostro disappunto quando ci accorgiamo che i numerosi veicoli sono invece roulotte, comunque colme di clown e bestie esotiche.
/hashtag sottile satira di classe tra viaggiatori.

Il campeggio è comunque ben attrezzato e pronto ad accogliere i molti turisti che affollano la cittadina. Vi sono infatti a disposizione tre bagni e due docce.
Punto.
Nessun problema, basta non avere bisogno di andare in bagno durante i momenti di punta, che più o meno vanno da mezzanotte alla mezzanotte successiva. Rifletto sul fatto che forse Nick non si accorgerebbe se defecassi nel suo sacco a pelo e anche in quell’eventualità potrei forse farlo passare per un simpatico scherzetto.

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Scopriamo inoltre, con sommo dispiacere, che i turisti possono essere estremamente rumorosi e irrispettosi anche quando non sono italiani. Essere privati di questo primato ci rende estremamente tristi e contrariati.
È infatti mezzanotte passata quando un simpatico gruppetto appartenente a un viaggio organizzato decide che il posto ideale per ridere e berciare sguaiatamente è il prato di un campeggio, dove il muro più spesso è la parete di una tenda.
Persino Sio, noto possessore dello spirito zen del Boy Scout Represso™, si irrita al punto di dover intimare loro severe ripercussioni se non cesseranno immediatamente il loro rumoreggiare.
Poi ringrazia e si scusa dodici volte.
Il gruppo rimane così intimorito che prosegue imperterrito nel proprio piano di disturbo.
Dalla mia, decido che se io non posso dormire a causa di Nick è giusto che nessuno debba godere del meritato riposo.
Vi ho già raccontato di quanto sia una persona spregevole? Bene.

La mattina ci svegliamo freschi e riposati, con solo dei lievi tick nervosi. Nulla che sei tazze di cereali non possano guarire.
Il livello di zucchero nel nostro sangue torna sopra i livelli di guardia permettendoci di iniziare la giornata.
Quello che ancora non sappiamo è che sta per succedere l’impensabile.
Ci mettiamo in strada mentalmente pronti alla canonica giornata ciclistica islandese: momenti di bonaccia alternati a momenti in cui il vento ci fa scoprire come dev’essere pedalare nel gel balistico. Eppure dopo pochi chilometri ci accorgiamo che qualcosa non sta andando come avevamo immaginato; teniamo i venticinque chilometri all’ora quasi senza pedalare, e ci sentiamo stranamente leggeri. Ci guardiamo l’un l’altro con sgomento mentre realizziamo che abbiamo il vento a favore.
Vento forte.

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Iniziamo a spingere un po’ di più sui pedali e prima di accorgercene stiamo facendo i quaranta all’ora, in discesa le auto hanno problemi a superarci e in salita procediamo quasi per inerzia.
Nessuno può vedermi ma sto piangendo calde lacrime di gioia mentre rido come un folle.
Solo quando tocco i cinquantacinque chilometri all’ora decido che è il momento di tenere una mano pronta sul freno.
Proseguiamo a questo ritmo un’ora buona prima che il vento si calmi nuovamente e si torni a pedalare come dei comuni mortali. A quel punto la media comunque alta con cui proseguiamo ci sembra nulla in confronto all’onnipotenza appena provata.
Era un mese che aspettavamo.

Ora, se fossi una persona normale e non un insoddisfatto cronico gioirei di questo breve regalo.
Invece continuo a pensare che un mese di vento in faccia non sia ripagato da un ora di velocità.
Sì Islanda, sto guardando proprio te.
Mi devi del vento o dei soldi, a scelta.

È tardo pomeriggio quando arriviamo al punto che sulla nostra mappa è segnato come posizione del prossimo campeggio. Stranamente i cartelli sulla strada, di solito estremamente esaurienti e precisi, non ne segnalano la presenza.
Decidiamo quindi di imboccare la stradina che conduce fino a un grosso edificio bianco che pare essere un ristorante per chiedere informazioni. La signora ci informa molto gentilmente che la guesthouse che possiamo vedere in fondo alla strada faceva anche da campeggio, ma da un po’ di tempo affitta solo camere.
Cala il gelo.
La signora ci tiene comunque a rassicurarci dicendoci che il prossimo campeggio e soltanto a venti chilometri di distanza. In auto ci si mette un attimo.
Le comunichiamo che siamo in bici.
“Ah” dice.

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Ci suggerisce di provare comunque a chiedere, decidiamo di accettare il suo consiglio, anche perché l’alternativa più papabile ai nostri occhi è piantarle la tenda sui piedi.
Tanta è la nostra voglia di fare altri venti chilometri.
Scendiamo quindi la piccola stradina che conduce fino al grande prato curato a lato del quale si trova la guesthouse. Apriamo timorosi la porta d’entrata e veniamo accolti da una sorridente signorina che ci identifica subito come ciclisti.
A testimonianza del fatto che non era difficile, dati i vestiti.
Ci conferma che sì, in teoria la loro struttura non opera più come campeggio, e di solito indicano ad auto e camper il paesino successivo come meta possibile, ma per i ciclisti e gli autostoppisti fanno eccezione permettendo loro di usare il piccolo prato dietro l’edificio.
Poiché la struttura non sarebbe propriamente un campeggio, però, il prezzo è molto inferiore alla media. Inoltre il caffè è in omaggio.
Cerchiamo di mantenere il nostro proverbiale contegno mentre ci buttiamo ai suoi piedi piangendo.

La mattina successiva ci dovremo svegliare di buon’ora per pedalare qualche chilometro fino a Jökulsárlón, la celebre baia degli iceberg.